Studiando in un Corso di Laurea in Turismo, ci immedesimiamo quasi sempre nel ruolo di operatori, attenti a come porsi ai clienti, a come vendere meglio un servizio, a come rispondere nel modo più adeguato ed educato possibile alle richieste di turisti esigenti o a come risolvere inconvenienti che spesso possono succedere durante un viaggio. È un “allenamento” che facciamo con impegno per prepararci al meglio ad affrontare il settore del turismo nelle sue varie sfumature.
Ma cosa succede quando degli apprendisti del ‘mestiere’ d’un tratto si trovano nei panni opposti, quelli di turisti?
È quello che è successo a me ed una mia cara amica, anche lei studentessa al Campus.
Ecco gli ingredienti: la fine della sessione invernale degli esami, un pizzico di leggerezza e spirito d’avventura tipico dei ragazzi (quello spirito che non ti fa pensare troppo a fare una cosa, per spiegarci meglio), un momento difficile da passare per entrambe e un’amica in stage in una delle più belle capitali europee: Parigi.
Il sogno di andare a visitare questa splendida città così stava uscendo dal cassetto e prendeva forma molto velocemente prenotando i voli di andata e di ritorno con posto casuale, effettuando il check-in online e prenotando un qualsiasi hotel vicino a dove risiedeva la nostra amica in stage. Così nei giorni che precedevano la partenza, nonostante le lezioni in università, la coda alle macchinette del caffè era il momento migliore per informarsi su Parigi: la metro, lo shuttle dall’aeroporto al centro città, i biglietti del Louvre, quale piano visitare, il musée d’Orsay, i quadri dell’Orangerie, le Quartier Latin, Montmartre, le Sacre Cœur, le Petit Prince… quante “cose belle” mi ero appuntata da vedere e da fare nella mia agenda!
Ma in questo articolo non racconterò ogni giorno del nostro viaggio perché ci vorrebbero troppe pagine e risulterebbero noiose per chi non ha vissuto in prima persona questi momenti. Quello che mi sento di trasmettere però è la bellezza di una città che abbiamo visitato quasi interamente a piedi, percorrendo 25/26 km al giorno, andando a scoprire i vicoli meno frequentati dai turisti fino a fare le cose più classiche come la passeggiata lungo la Senna, le foto di rito da Piazza Trocadero con la Tour Eiffel alle spalle o visitare l’interminabile Louvre.
Non abbiamo ancora capito se facevamo tutti quei km a piedi per giustificare i nostri “pit stop dolci” nelle fantastiche boulangeries parisiennes (e sentirci meno in colpa quando mangiavano i deliziosi macarons o le crêpes straripanti di Nutella) o se perché veramente eravamo d’accordo sul fatto che per visitare una città come Parigi occorresse “immergersi” nello stile di vita parigino e viverlo sulle proprie gambe.
Per fortuna il meteo ci assisteva, permettendoci così di camminare moltissimo e poter smaltire anche gli aperitivi fatti nelle tipiche verande esterne dei bistrot parigini e la cena nel Quartier Latin a base di Fondue, Raclette e Tartiflette.
Una sera abbiamo anche visitato il quartiere Roquette e, mentre stavamo assaporando una delle nostre tante crêpes, ci è venuta l’idea di andare a visitare il Bataclan, poco distante da noi e luogo teatro del feroce attacco terroristico nel quale persero la vita molti ragazzi della nostra età. Non eravamo mosse da un istinto macabro o voyeuristico di andare a fare una nostra attrazione un luogo di dolore, per niente, volevamo rendere omaggio alle vittime e renderci conto di come quelle persone non avessero proprio nulla si diverso da noi, ragazzi ritrovati in un quartiere giovanile per stare insieme un sabato sera qualunque, proprio come noi nel nostro sabato sera di 3 anni dopo.
Passavano i giorni a Parigi e il nostro fedelissimo compagno di viaggio, il selfie-stick, aveva fermato momenti, tramonti, emozioni, colori, risate che rimarranno indelebili nella nostre memorie e nelle pagine social che aggiornavamo per condividere con tutti i nostri amici le stesse sensazioni vissute.
Il penultimo giorno abbiamo visitato anche l’intera reggia di Versailles grazie a un tiepido sole che faceva risplendere tutte le stanze impreziosite e donava colori accesi ai giardini e alle fontane già di per sé unici.
È stato proprio durante quella visita che ho riflettuto su come la condivisione dell’esperienza turistica sia un punto centrale della vacanza, forse quanto la destinazione o attrazione stessa: senza l’amicizia tra di noi forse avremmo apprezzato molto meno ogni luogo visitato se lo avessimo fatto singolarmente.
Vestire per quasi cinque giorni i panni di turista mi ha arricchito immensamente perché ho capito che ormai il mondo è quasi tutto scoperto, visitato, conosciuto, fotografato. Parigi è Parigi da tantissimi anni e lo sarà ancora per altrettanti; quello che veramente fa la differenza nella vacanza secondo me è l’insieme delle emozioni condivise, degli stati d’animo, delle risate nel parlare francese in ogni momento, nel correre a ripararsi dalla pioggia in tutti i negozi di souvenirs, la sensazione di felicità dopo aver fatto una merenda golosa nel Jardin des Tuileries, prendersi in giro davanti al Moulin Rouge e ricordare frasi celebri del Piccolo Principe guardando il tramonto da una panchina di un ponte sulla Senna.
Credo che sia questo insieme di esperienze che fa diventare una vacanza in una città un ricordo, una pagina di diario da portare dentro di sé come qualcosa di unico… È bello a volte invertire i ruoli e capire cosa veramente ci piacerebbe far provare alle persone per cui ci stiamo formando.
Brava Ginevra! Un post scritto con tanta emozione da una città da sogno.
Bell’articolo!! L’avevo solo visto pubblicato sui social ma ancora non l’avevo letto! Belle e brave bimbeee!!